Malattia “grave” e comunicazioni via WhatsApp: la Cassazione mette un punto fermo

La Corte di Cassazione (sent. n. 26956/2025) ha chiarito che la gravità della malattia non può essere attestata tramite un messaggio WhatsApp al proprio superiore.
Solo la certificazione medica formale, conforme a quanto previsto dal CCNL, può qualificare una patologia come “particolarmente grave” e quindi incidere sul computo del periodo di comporto.

In sintesi:

  • Le comunicazioni informali (chat, mail, messaggi) non hanno valore medico-legale;
  • La “patologia grave” deve risultare espressamente dal certificato medico;
  • In assenza di certificazione conforme, l’assenza viene computata nel comporto e può legittimare il licenziamento per superamento del periodo.

Per le direzioni HR: consigliabile una governance chiara dei flussi di comunicazione e una procedura interna che distingua tra segnalazione informale e documentazione ufficiale.

Per i consulenti del lavoro: diventa strategico supportare l’azienda nel verificare la conformità delle certificazioni mediche e nell’aggiornare policy e regolamenti interni.

In un contesto dove la messaggistica istantanea è ormai parte del dialogo quotidiano, questa pronuncia ribadisce un principio essenziale: in materia di diritto del lavoro, la forma resta sostanza.

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