La Corte di Cassazione, con la sentenza allegata torna sul tema della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente fissando il seguente principio di diritto: “Ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente, sicché assume rilevanza qualsiasi motivo che sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, il recesso (Nel caso di specie, rigettando il ricorso del dirigente, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata contenente una motivazione congrua circa la ritenuta giustificatezza del motivo, idonea ad escludere l’arbitrarietà del recesso in ragione della rilevanza del fatto contestato in termini di turbamento del vincolo fiduciario, tanto più intenso quanto più elevato il ruolo dirigenziale del dipendente, il tutto in conformità ad una valutazione delle condotte delle parti alla stregua dei criteri di correttezza e buona fede)”.
Come è noto, la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente è stata introdotta dalla contrattazione collettiva.
L’art. 19 del vigente CCNL prevede, infatti, al comma 15:
“15. Eccetto i casi di licenziamento nullo, per i quali trova applicazione la disciplina di legge, ove il Collegio, con motivato giudizio, riconosca che il licenziamento è ingiustificato ed accolga quindi il ricorso del dirigente a termini dell’art. 22, disporrà contestualmente, a carico dell’azienda, un’indennità supplementare delle spettanze contrattuali di fine lavoro, omnicomprensiva, nel rispetto dei parametri seguenti:
a) fino a due anni di anzianità aziendale, quattro mensilità pari al corrispettivo del preavviso;
b) oltre i due e sino a sei anni di anzianità aziendale, da quattro a otto mensilità pari al
corrispettivo del preavviso;
c) oltre i sei e sino a dieci anni di anzianità aziendale, da otto a dodici mensilità pari al corrispettivo del preavviso;
d) oltre i dieci e sino a quindici anni di anzianità aziendale, da dodici a diciotto mensilità pari al corrispettivo del preavviso;
e) oltre quindici anni di anzianità aziendale, da diciotto a ventiquattro mensilità pari al corrispettivo del preavviso.
Le presenti disposizioni non si applicano nei casi di licenziamento collettivo.”
La legge, invece, non prevede alcuna limitazione del licenziamento dei dirigente salvo i casi di recesso nullo per violazione di legge o in quanto discriminatorio o perchè comminato per motivo illecito. Salvo questi casi, il licenziamento del dirigente può essere comminato ad nutum (senza motivazione) ai sensi dell’art. 2118 cod. civ..
La nozione di giustificatezza è stata quindi introdotta dalla contrattazione collettiva ma senza alcuna specificazione. Secondo orientamenti ormai consolidati della giurisprudenza essa:
– è nettamente distinta dalle nozioni di giusta causa e di giustificato motivo di cui all’art. 2119 c.c. e all’art. 3, l. n. 604/1966
– deve trattarsi di provvedimento non arbitrario nè pretestuoso bensì ragionevole del provvedimento datoriale;
– deve rispondere ai principi di correttezza e buona fede [Cass.. 9.4.2019, n. 9868; Cass. 4.1.2019, n. 87.
La ratio di tale disciplina complessiva sta ovviamente nella particolare rilevanza del rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro e che non consente di assicurargli una stabilità “reale” come quella concernente le altre categorie di lavoratori dipendenti [Cass. 26.10.2018, n. 27199].
Volendo schematizzare gli esiti dell’esegesi giurisprudenziale possiamo rilevare che:
– sul piano soggettivo, il licenziamento deve ritenersi giustificato quando il dirigente abbia leso i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e soprattutto quando ricorra una lesione del vincolo fiduciario (la cui rilevanza è direttamente proporzionata a quella della posizione del dirigente nella line aziendale);
– sul piano oggettivo, la giustificatezza non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione [Cass. 5.6.2018, n. 14398; Cass. 23.3.2018, n. 7295].
La Suprema Corte ha rilevato, in questa prospettiva, che possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e quindi giustificare il licenziamento [v. la stessa Cass. 2246/2022; Cass. 30/12/2019 n. 34736; Cass. 10.4.2012, n. 5671]:
– l’inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative iniziali
– un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro
– un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente
sicchè assume rilevanza qualsiasi motivo che sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, il recesso (Cass. n. 6110 del 17/03/2014).
Conseguenze del licenziamento illegittimo:
• se il licenziamento è semplicemente ingiustificato (ai sensi della nozione di giustificatezza prevista dalla contrattazione collettiva), è dovuta al lavoratore l’indennità supplementare prevista dal CCNL ma è dovuto il preavviso o l’indennità sostitutiva [Cass. 10.4.2012, n. 5671; Cass. 1.6.2005, n. 11691].
• se il licenziamento, invece, è non solo giustificato (ai sensi della contrattazione collettiva) ma addirittura fondato su giusta causa ex art. 2119 (notevole inadempimento che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro), al pari di quello dei non dirigenti, ex l. n. 604/1966, non è dovuto neanche il preavviso.
E’ pacifico che grava sul datore di lavoro l’onere probatorio circa la sussistenza sia della giustificatezza che della giusta causa [Cass. 28.10.2005, n. 21010; Cass. 19.8.2005, n. 17039; Cass. 12.2.2000, n. 1591]. Sul lavoratore, invece, grava l’onere di provare le ipotesi di nullità del licenziamento.
Procedura da seguire per la validità del licenziamento
(Cass. 7426/2018, 17502/18, 17676/18 + Cass., Sezioni Unite, n. 7880 del 30 marzo 2007).
Si applicano le procedure di cui all’art. 7 della L. 300/70 (pubblicazione del codice disciplinare, contestazione analitica degli addebiti, sanzione motivata) tutte le volte che il licenziamento è giustificato da comportamenti del dirigente o comunque dal venir meno del rapporto fiduciario, ciò in quanto tali procedure sono espressione di un principio di generale garanzia (diritto di difesa).
Non si applicano le procedure dell’art. 7 (e si può quindi procedere direttamente al licenziamento motivato) solo quando le ragioni giustificatrici del recesso siano puramente oggettive e attinenti al mutamento dell’organizzazione aziendale.
Casistica
Le valutazioni dei giudici di merito sulla giustificatezza del licenziamento dei dirigenti sono le più varie a seconda dei contesti e delle circostanze: dovendo in generale ravvisarsi una certa cautela nella valutazione delle ipotesi concrete, alla luce della specialità che caratterizza il rapporto che si instaura tra datore di lavoro e dirigente. E così, a titolo esemplificativo:
– è stata ritenuto giustificato il licenziamento nell’ipotesi del dirigente che avesse disposto la costituzione di fondi extrabilancio per finanziare liberalità d’uso a vantaggio dei clienti della società [Cass. 3.7.2018, n. 17356]. In tale ipotesi la Suprema Corte ha precisato che è causa giustificatrice del licenziamento la condotta che contrasta con l’ordinamento giuridico inteso nel suo complesso (a prescindere dalla rilevanza penale della singola condotta o dalla previsione di specifici divieti) e che l’eventuale compimento della condotta nell’interesse della società e/o conformemente al volere dei vertici aziendali non è sufficiente ad escludere la ricorrenza della giustificatezza; ciò poiché si tratta in ogni caso di una condotta contrastante con i valori dell’ordinamento, che peraltro non consentono di identificare la società con il volere dei suoi vertici proprietari;
– è stato ritenuto giustificato il licenziamento del dirigente resosi responsabile di condotta inadeguata rispetto all’incarico ricoperto (fattispecie relativa al responsabile del controllo qualità del prodotto di una società di imbottigliamento di acque minerali che aveva autorizzato e supervisionato lavori di verniciatura in luoghi prossimi alle attività di imbottigliamento che avevano causato l’inquinamento dell’acqua) [Cass. 9.5.2018, n. 11159] o tale da configurare una grave negligenza o da denotare incapacità nello svolgimento dell’attività di amministratore delegato [Cass. 26.3.2018, n. 7426];
– è stato ritenuto giustificato il licenziamento del dirigente resosi responsabile di aver operato in conflitto di interessi con il proprio datore di lavoro per aver favorito lo storno dei servizi da quest’ultimo resi ai propri associati a vantaggio di un soggetto terzo, di cui è stato poi nominato direttore responsabile degli uffici [C. 16.3.2018, n. 6479];
– è stato ritenuto giustificato il licenziamento irrogato al dirigente cui è stato contestato di avere violato una circolare dell’amministratore delegato che imponeva la cessazione di una prassi, avviata dal precedente responsabile, consistita nel fatto di aver permesso ai magazzinieri della filiale di lavorare il sabato mattina senza segnare la presenza e percependo dagli autisti dei fornitori pagamenti non dovuti [C. 15.3.2018, n. 6426];
– è stata esclusa la giusta causa del licenziamento, integrando gli estremi della sola giustificatezza che dà diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, nell’ipotesi in cui il dirigente abbia espresso una critica sull’operato aziendale e sul rapporto tra la società datrice ed altre società del gruppo e abbia minacciato di far ricorso ad una compente autorità. Tale condotta è comunque idonea a giustificare il licenziamento in quanto tale da porre il dirigente in rotta di collisione con il datore di lavoro [Cass. 17.3.2014, n. 6110];
– è stato infine ritenuto giustificato il licenziamento di un dirigente apicale che aveva inviato alla direzione aziendale una mail del seguente tenore “voi avete tradito la mia fiducia e buona fede e non so quanto potrò andare avanti a sopportare questo vostro comportamento che giudico inqualificabile”. Non è stata ritenuta però giusta causa (Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 26/01/2022, n. 2246).
Licenziamento collettivo
Come detto, al licenziamento collettivo non si applica la disciplina del CCNL. La L. 161/2014, modificando la L. 223/1991, ha tuttavia incluso espressamente i dirigenti fra i soggetti cui si applica la legge sui licenziamenti collettivi. Ne derivano le seguenti novità:
a) il computo dei dirigenti nella soglia dimensionale dell’azienda e nel numero dei lavoratori interessati alla procedura di licenziamento collettivo;
b) la comunicazione di avvio della procedura, che dovrà dare conto degli eventuali esuberi dei dirigenti e dei criteri di scelta che saranno applicati;
c) appositi incontri con le organizzazioni sindacali competenti per l’esame congiunto;
d) la tutela indennitaria in caso di violazione dei criteri di scelta e/o violazione della procedura.
In pratica, i principali motivi di impugnazione di un licenziamento (collettivo) anche di un dirigente sono:
– vizi formali della procedura,
– violazione dei criteri di scelta,
– inesistenza/insussistenza dei motivi enunciati nella lettera di apertura,
– mancata inclusione del dirigente nel computo dei lavoratori coinvolti.
La giurisprudenza ha più volte escluso dalla disciplina innanzi descritta i cd. pseudo dirigenti, cioè coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente e per i quali, quindi, l’attribuzione della qualifica dirigenziale vale solo a far loro conseguire il trattamento retributivo e normativo previsto dal CCNL dei dirigenti. Il licenziamento di costoro resta quindi assoggettato all’applicazione della disciplina generale in materia di licenziamenti (L. 604/66 e art. 18, L. 300/70). In tal senso v. Cass., Sez. lavoro, 27/12/2019, n. 34549.
Avv. Francesco Stolfa
Studio Legale Associato Stolfa Volpe