Licenziamenti collettivi per singole unità produttive: attenti al contenuto della comunicazione

Cassazione Sezione Lavoro sentenza n. 34417 del 15/11/2021

La Corte di Cassazione, in questa recente sentenza, ha ribadito e precisato due principi abbastanza importanti in ordine al contenuto della comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo, in caso di riduzione di personale inerente una singola unità produttiva e non l’intero complesso aziendale.

1) In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, quest’ultima può costituire riferimento esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purchè il datore indichi nella comunicazione L. n. 223 citata, ex art. 4, comma 3, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti” (in questo la Corte richiama anche i precedenti conformi di Cass. n. 22178/2018 e n. 4678/2015, ai quali si può aggiungerre anche la quasi contestuale Cass., Sez. lavoro, 07/10/2021, n. 27310).

2) Come noto, la L. n. 223 del 1991, all’art. 4, comma 12, prevede ora – a seguito delle modifiche introdotte nel 2012 dalla legge Fornero – una possibilità di sanatoria dei vizi della comunicazione disponendo: “Gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.” Al riguardo la Corte ha stabilito che tale sanatoria non può dirsi integrata mediante l’apposizione di una mera clausola di stile (quale: “Le parti con la firma del presente verbale si danno comunque atto di avere esperito la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24”), come spessissimo accade nella prassi, richiedendosi invece, anche per la evidente rilevanza degli interessi in gioco, l’adozione di espressioni precise che diano conto della reale consapevolezza dei vizi della comunicazione (che quindi vanno individuati) e della inequivoca volontà delle parti di attuarne il superamento.

E’ importante che le imprese, i loro consulenti e gli stessi rappresentanti sindacali ne prendano atto e ne tengano conto nelle stesura dei verbali diaccordo che spesso non corrispondono a tali principi.

Va segnalata, infine, anche l’importante statuizione rinvenibile nella recente Cass. Cass., Sez. lavoro, 07/10/2021, n. 27310 che, uniformandosi alla giurisprudenza comunitaria (sentenza 4 dicembre 2014, in causa C413/13, punti 35-36; cfr. anche sentenza 11 dicembre 2015, in causa C-422/14, punti 28-30), ha chiarito che la qualifica di “prestatore autonomo”, ai sensi del diritto nazionale, non esclude che una persona debba essere qualificata come “lavoratore”, ai sensi del diritto dell’Unione (e quindi anche ai fini della L. 223/1991), se la sua indipendenza è solamente fittizia e nasconde in tal modo un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato; con la conseguenza che lo status di “lavoratore” ai sensi del diritto dell’Unione non può essere pregiudicato dal fatto che una persona è stata assunta come prestatore autonomo di servizi ai sensi del diritto nazionale, per ragioni fiscali, amministrative o burocratiche, purchè tale persona agisca sotto la direzione del suo datore di lavoro, per quanto riguarda in particolare la sua libertà di scegliere l’orario, il luogo e il contenuto del suo lavoro, non partecipi ai rischi commerciali di tale datore di lavoro e sia integrata nell’impresa di detto datore di lavoro per la durata del rapporto di lavoro, formando con essa un’unità economica. Ha aggiunto, inoltre, la Corte di Cassazione che il lavoratore ricorrente ha l’onere di allegare tale subordinazione di fatto e le circostanza che la caratterizzano, allegazione che nel caso esaminato in sentenza era mancata, derivandone il rigetto della domanda. Ovviamente, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D. lgs. 81/2015, nel diritto italiano tale “ampliamento” riguarda anche i lavoratori parasubordinati etero-organizzati dal committente.

Avv. Francesco Stolfa
Studio Legale Associato Stolfa Volpe         

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