La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 9095 del 31.03.2023, ha ritenuto che l’applicazione al lavoratore disabile del licenziamento per superamento dell’ordinario periodo di comporto previsto dal CCNL, costituisca una discriminazione indiretta perpetrata dal datore di lavoro.
Secondo la Corte, infatti, il lavoratore disabile, proprio a causa della sua disabilità, risulta maggiormente esposto al rischio di assenze dovute a malattia rispetto ad un lavoratore non disabile ed è, quindi, soggetto ad un maggior rischio di accumulare giorni di assenza, raggiungendo i limiti massimi del comporto previsti dalla contrattazione collettiva.
In tema di riparto dell’onere probatorio, la Cassazione addirittura ipotizza la sussistenza di una sorta di “presunzione” di discriminazione, nel senso che al lavoratore spetterà unicamente l’onere di allegare e dimostrare lo specifico fattore di rischio (handicap) ed il trattamento che egli assume essere meno favorevole rispetto a quello riservato agli altri lavoratori in condizioni analoghe nonché la correlazione tra questi due elementi. Il datore di lavoro dovrà, invece, provare la sussistenza di circostanze “inequivoche, volte ad escludere per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta”.
La Corte precisa, inoltre, che tale discriminazione opera in maniera oggettiva e prescinde quindi dalla volontà del datore di lavoro, restando irrilevante anche il fatto che questi non possa materialmente conoscere il concreto motivo delle assenze del lavoratore (poiché, come noto, i certificati medici non riportano la diagnosi o la causa dell’assenza). La Corte richiama, infatti, un precedente orientamento esegetico secondo cui la discriminazione opera obiettivamente, in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta ed a prescindere dalla volontà del datore di lavoro.
In altre parole, secondo la Corte, indipendentemente da qualsiasi volontà del datore di lavoro, l’applicazione al disabile dello stesso comporto previsto per i lavoratori non disabili costituisce ex se discriminazione indiretta, con conseguente nullità del licenziamento irrogato.
Questa sentenza si aggiunge ad altre recenti pronunce in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto che finiscono col rendere tale tipologia di licenziamento un atto particolarmente rischioso e delicato per le aziende, specie per quelle di piccole dimensioni.
Si rende, dunque, quanto mai necessario un intervento del legislatore o delle parti sociali che chiarisca il comportamento che il datore di lavoro dovrà adottare in fattispecie simili poiché, diversamente, le aziende rimarranno inevitabilmente esposte a contenziosi di portata e rischio considerevole ovvero dovranno sopportare passivamente il rischio di assenteismo incontrollato da parte dei lavoratori appartenenti alla categorie protette.