Decreto 104/2022: Contenuto dell’obbligo informativo e conservazione della prova della comunicazione

Decreto Trasparenza n. 104/2022 - Pillola n. 3

Premessa.

In questa terza Pillola ci occuperemo degli aspetti generali del contenuto dell’obbligo informativo di cui all’art. 1, lett. a-o) del decreto legislativo 26 maggio 1997 n. 152, come modificato dal D.Lgs. 104/22, rinviando alle Pillole successive l’esame delle situazioni particolari (come quella di cui alla lettera p, concernente rapporti di lavoro caratterizzati da modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili, con particolare riferimento all’orario normale di lavoro ovvero a tutte le altre fattispecie particolari previste dalla nuova normativa).

È inoltre il caso di precisare ulteriormente che queste Pillole sono dedicate non a descrivere la nuova normativa (quello, ogni persona dotata di normale discernimento, può desumerlo leggendo il testo dei pochi articoli della legge) bensì ad esaminare i suoi aspetti problematici nonché e a proporre soluzioni interpretative che possano essere utili agli operatori e magari influire anche sul dibattito esegetico cosiddetto “di prima lettura”.

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IL CONTENUTO DELL’OBBLIGO INFORMATIVO

Il decreto legislativo 104/22 impone al datore di lavoro di comunicare al lavoratore tutta una serie di informazioni aggiuntive rispetto al passato. Molte di tali comunicazioni sono già obbligatorie per legge e comunque di solito già contenute nelle normali lettere di assunzione (che poi costituiscono i contratti individuali di lavoro): si pensi alla identità delle parti (compresa quella dei co-datori di lavoro), al luogo di lavoro, alla sede del datore di lavoro, all’inquadramento, al livello e alla qualifica attribuiti al lavoratore, alla data di inizio del rapporto di lavoro, alla tipologia di rapporto di lavoro e alla sua durata, alla durata del periodo di prova, alla identità dell’impresa utilizzatrice in caso di somministrazione, gli estremi dei contratti collettivi di primo e secondo livello applicabili al rapporto.

Meno frequente è la precisazione nelle lettere di assunzione del periodo di formazione, della durata delle ferie, nonché degli altri congedi retribuiti cui il prestatore abbia diritto e degli enti previdenziali e assistenziali dai quali sarà tutelato, tutti elementi che ora dovranno, invece, essere ben precisati. E in questo si sostanzia la vera novità della legge.

Si tratta, quindi, di adempimenti che non dovrebbero comportare particolari problemi: si richiede soltanto di integrare la normale lettera di assunzione con poche indicazioni.

Come già rilevato nella Pillola n. 1, per i lavoratori già in forza non è necessario procedere immediatamente alla comunicazione: i termini decorrono dalla richiesta del lavoratore. Ma anche per i nuovi assunti la legge prevede una graduazione dell’entrata in vigore, seppur di pochi giorni: a parte le informazioni essenziali concernenti l’individuazione delle parti, l’oggetto del contratto e il patto di prova, che devono essere (ovviamente) inserite nel contratto individuale, le altre possono essere fornite al prestatore nei trenta giorni successivi all’assunzione (art. 1, comma 3, del d.lgs. 152/1997, nel nuovo testo).

Una norma importante perché in grado di ridimensionare ulteriormente gli oneri a carico delle aziende è contenuta nel nuovo testo dell’art. 3 del d.lgs. 152/97, intitolato “Modifica degli elementi del contratto dopo l’assunzione”, secondo cui: “Il datore di lavoro e il committente pubblico e privato comunicano per iscritto al lavoratore, entro il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica, qualsiasi variazione degli elementi di cui agli articoli 1, 1-bis e 2 che non derivi direttamente dalla modifica di disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo”.

Da tale norma si ricava che l’aggiornamento delle informazioni inziali dovrà riguardare solo le clausole del contratto individuale che, in quanto tali, ovviamente, per essere valide, avrebbero comunque richiesto il consenso scritto del lavoratore e quindi, appunto, una variazione/integrazione della lettera di assunzione.

Per le variazioni derivanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, invece, non è richiesta alcuna comunicazione integrativa. Sarà quindi il lavoratore a doversi attivare per tenersi aggiornato sulle variazioni derivanti da quelle che si definiscono fonti eteronome (leggi, CCNL, ecc.). Il datore di lavoro ha però l’obbligo di segnalare al lavoratore le parti del contratto individuale che possono essere modificate (mediante inserzione automatica) da tali fonti eteronome nonchè di formare il medesimo lavoratore all’uso degli  strumenti, anche di carattere elettronico, mediante i quali egli possa ottenere un aggiornamento costante e immediato delle modifiche intervenute. Tale comunicazione rientra fra quelle obbligatorie e dovrà essere contenuta nella lettera di assunzione o essere effettuata successivamente nelle forme e nei termini di legge.

La legge (art. 4, comma 6) indica, fra le fonti utilizzabili a tale scopo e che è possibile indicare al lavoratore, le banche dati ministeriali: “Le disposizioni normative e dei contratti collettivi nazionali relative alle informazioni che devono essere comunicate dai datori di lavoro sono disponibili a tutti gratuitamente e in modo trasparente, chiaro, completo e facilmente accessibile, tramite il sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per le pubbliche amministrazioni tali informazioni sono rese disponibili tramite il sito del Dipartimento della funzione pubblica”.

Ma qualsiasi altro sito o banca dati affidabile va ugualmente bene. La stessa circolare dell’INL n. 4/2022 prevede espressamente che i CCNL debbano essere “consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale”.

In sintesi, quindi, il datore di lavoro, con l’entrata in vigore del DS. Lgs. 104/22 dovrà semplicemente indicare nella lettera di assunzione gli elementi essenziali del contratto di lavoro (che sono già normalmente inseriti nella stessa), e cioè:

  • l’identità delle parti (compresa quella dei co-datori di lavoro)
  • la loro sede o residenza
  • il luogo di lavoro
  • l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore (*)
  • la data di inizio del rapporto di lavoro
  • la tipologia di rapporto di lavoro
  • la sua durata
  • la durata dell’eventuale periodo di prova (*)
  • l’identità dell’impresa utilizzatrice (in caso di somministrazione).

 

Alle normali lettere di assunzione, occorrerà quindi aggiungere solo i seguenti elementi:

  • periodo di formazione obbligatoria (anche per la sicurezza) (*)
  • la durata delle ferie (*)
  • la durata degli altri congedi retribuiti (*)
  • gli enti previdenziali e assistenziali che tutelano il lavoratore
  • i contratti collettivi applicabili, con le indicazioni utili a reperirne i testi aggiornati.

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(*) Le voci contrassegnate con l’asterisco sono quelle che potranno subire variazioni derivanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, aspetto che va segnalato al lavoratore, il quale dunque, al fine di conoscere i suoi diritti, dovrà attivarsi per consultare le fonti eteronome aggiornate.

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Per tutte le regole che derivano dalla legge o dalla contrattazione collettiva è anche possibile rinviare semplicemente ai relativi testi normativi. La legge italiana, infatti, va interpretata secondo le direttiva la Direttiva del Parlamento Europeo 20 giugno 2019 n. 2019/1152/UE di cui è attuazione e la direttiva prescrive espressamente, al comma 3 dell’art. 4: “Le informazioni di cui al paragrafo 2, lettere da g) a l) e lettera o), possono, se del caso, essere fornite sotto forma di un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o statutarie o ai contratti collettivi che disciplinano tali punti”. Anche la circolare n. 4/22 dell’INL fa propria questa interpretazione.

Non appare, invece, né necessario né utile fornire al lavoratore, in formato cartaceo o informatico, il testo del CCNL o quello delle leggi che regolano il suo rapporto di lavoro, proprio perchè tali testi sono destinati a cambiare nel tempo e il lavoratore potrebbe trarne indicazioni fuorvianti; come si è già rilevato, il lavoratore ha diritto di vedersi comunicare gli estremi di leggi e contratti collettivi e di essere informato e “formato” al fine di utilizzarli per reperire i testi aggiornati e vigenti.

Naturalmente se l’azienda non applica (legittimamente) alcun CCNL potrà limitarsi a indicare nella lettera di assunzione o nella successiva comunicazione informativa, i medesimi elementi innanzi precisati, così come concordati con il lavoratore, senza alcun riferimento alla contrattazione collettiva. L’indicazione dell’inquadramento ai sensi del CCNL potrà essere sostituita da una breve descrizione dell’attività lavorativa oggetto del rapporto. Dovrà, però, il datore di lavoro indicare almeno l’art. 36 della Costituzione nonché ogni altra disposizione di legge applicabile al rapporto di lavoro (orario di lavoro, sicurezza, formazione), riportandone il testo al lavoratore o almeno indicandogli il locus (cartaceo o informatico) in cui prenderne visione.

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OBBLIGO DI CONSERVAZIONE DELLA PROVA DELLA COMUNICAZIONE E RELATIVA SANZIONE

L’art. 3 del D. lgs. 104/22 prescrive testualmente: “Il datore di lavoro comunica a ciascun lavoratore in modo chiaro e trasparente le informazioni previste dal presente decreto in formato cartaceo oppure elettronico. Le medesime informazioni sono conservate e rese accessibili al lavoratore ed il datore di lavoro ne conserva la prova della trasmissione o della ricezione per la durata di cinque anni dalla conclusione del rapporto di lavoro”.

Il nuovo comma 8 dell’art. 3 del D. Lgs. 157/1997, nel testo modificato dal D. Lgs. 104/22, prescrive invece: “Le informazioni di cui al comma 1 sono conservate e rese accessibili al lavoratore ed il datore di lavoro ne conserva la prova della trasmissione o della ricezione”.

L’obbligo del datore di lavoro non è quindi solo quello di comunicare al lavoratore i descritti dati del rapporto di lavoro ma anche quello di tenerli a sua disposizione ogni volta che intenda consultarli. Anche per questo è opportuno che il lavoratore sia costantemente messo nelle condizioni di avere copia del suo contratto di lavoro nonché di accedere alle leggi e ai contratti collettivi che ne integrano/sostituiscono le norme.

Concentriamoci però sull’obbligo di conservazione, che è una delle novità.

Le due disposizioni appena menzionate, sul punto, sembrano contraddirsi. La prima si riferisce, infatti, a tutte le informazioni previste dal decreto 104 e prescrive l’obbligo di conservazione della prova della comunicazione per cinque anni dopo la cessazione del rapporto di lavoro. La seconda concerne solo le informazioni di cui al comma 1 dell’art. 3, che poi sono le più rilevanti, e non prevede alcun obbligo di conservazione della documentazione dopo la cessazione del rapporto. In realtà, più che di una contraddizione si tratta di una sovrapposizione poiché la prima disposizione ha palesemente un campo di applicazione più ampio della seconda ma lo ricomprende. Ma mentre la violazione della seconda disposizione è sanzionata in via amministrativa ai sensi dell’art. 4[1] del D. Lgs. 157/1997, così come modificato dal 104, con l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la prima (quella che sancisce l’obbligo di conservazione postuma) risulta invece sfornita di sanzione, come ha anche rilevato l’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella sua circolare n. 4. In particolare, ciò che resta sfornito di sanzione è proprio l’obbligo di conservazione della documentazione comprovante l’informativa per 5 anni dopo la cessazione del rapporto. L’Ispettorato, però, nella medesima circolare, compie una sorta di salto (mortale) esegetico sostenendo testualmente quanto segue: “La disposizione sulla durata della conservazione della prova della trasmissione o della ricezione delle informazioni dovute ai lavoratori è priva di un diretto presidio sanzionatorio giacché, in caso di inosservanza, i relativi obblighi saranno da ritenersi omessi e troveranno applicazione le sanzioni previste nel novellato art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003…”.

 

La tesi dell’INL non appare condivisibile.

La sanzione di carattere generale ex art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, infatti, è applicata dalla legge solo alla fattispecie di cui al novellato comma 8 dell’art. 3 del D. Lgs. 157/1997, rispetto al quale, però, l’art. 3 del D. lgs. 104/22 aggiunge, come si è detto, un ulteriore adempimento (conservazione quinquennale della documentazione) cui non può essere estesa la stessa sanzione in carenza di una espressa disposizione di legge. L’Ispettorato Nazionale, infatti, dimentica che gli illeciti amministrativi e le relative sanzioni sono assoggettate al principio di legalità e, per la loro natura afflittiva e quindi eccezionale, sono di stretta interpretazione e si applicano quindi esclusivamente alle fattispecie espressamente previste. Il principio è espressamente sancito dall’art. 1 della L.  24/11/1981, n. 689: “ Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.

 

Ne consegue che nessuna sanzione potrà essere applicata dall’Ispettorato qualora accerti che il datore di lavoro non abbia conservato, per i cinque anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, la prova delle avvenute comunicazioni ex D. lgs. 104/22.

Potrà applicare, invece, la prescritta sanzione amministrativa qualora riscontri la mancata conservazione della prova dell’avvenuta comunicazione nel corso del rapporto di lavoro.

Nè si potrà ritenere che il comma 8 dell’art. 3 del D. Lgs. 157/1997 sancisca implicitamente l’estensione dell’obbligo di conservazione anche al quinquennio successivo alla cessazione del rapporto, ciò sempre per il richiamato principio di tassatività (con conseguente divieto di interpretazione estensiva). Lo stesso Ispettorato Nazionale, del resto, come si è visto, nella citata circolare n. 4, ha confermato questa interpretazione ammettendo che “La disposizione sulla durata della conservazione della prova della trasmissione o della ricezione delle informazioni dovute ai lavoratori è priva di un diretto presidio sanzionatorio …”. Salvo poi tentare, come si è detto, una ardita estensione della sanzione.

Come sempre, è opportuno sottolineare che l’Ispettorato procederà certamente all’applicazione delle sanzioni e che quindi è buona regola, per consulenti e aziende, conservare la suddetta documentazione per il quinquennio successivo alla cessazione del rapporto, così adeguandosi prudenzialmente alla posizione dell’organo ispettivo onde evitare problemi. È comunque utile sapere che, in caso di contenzioso, sul punto, la posizione dell’Ispettorato appare piuttosto debole e può essere contestata.

 


[1] Articolo 4 D. Lgs. 157/1997, novellato dal 104/221. Il lavoratore denuncia il mancato, ritardato, incompleto o inesatto assolvimento degli obblighi di cui agli articoli 1, 1-bis, 2, e 3, e 5, comma 2, all’Ispettorato nazionale del lavoro che, compiuti i necessari accertamenti di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, applica la sanzione prevista all’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

 

Avv. Francesco Stolfa
Studio Legale Associato Stolfa Volpe

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