Con la recente sentenza n. 11665 dell’11 aprile 2022, la Corte di Cassazione ha affermato il principio in base al quale: “in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art.18 commi 4 e 5 della l. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla l. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo”.
Nel caso di specie, un comandante delle guardie giurate aveva proposto ricorso al Tribunale di Udine al fine di far dichiarare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa, comminatogli per aver omesso di denunciare un fatto di servizio e di trasmettere documenti alla Questura, oltre che per aver espresso giudizi gravemente lesivi nei confronti del Presidente e degli Amministratori Delegati della Società, nonché rivelato informazioni aziendali riservate. Il Tribunale di Udine, in funzione del giudice del lavoro, con apposita ordinanza aveva dichiarato illegittimo tale licenziamento, applicando la tutela di cui al comma 5 dell’art.18 St. lav.. Successivamente tale ordinanza era stata poi riformata in sede di opposizione dallo stesso Tribunale con applicazione, invece, della tutela di cui al comma 4 dell’art.18 st. lav..
La Corte di appello di Trieste, investita del reclamo dal datore di lavoro, lo aveva parzialmente accolto, applicando nuovamente la tutela di cui al comma 5 e condannando la società al pagamento della sola indennità risarcitoria, ritornando al decisum dell’ordinanza sommaria.
La Corte di Cassazione, invece, ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Trieste, che – non potendo inserire i comportamenti disciplinari ritenuti illegittimi nelle ipotesi previste dal relativo CCNL di categoria, poiché formulate in modo alquanto generico – aveva applicato la tutela debole prevista dal comma 5 dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, sulla base degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che considera residuale la tutela reintegratoria e come regola la tutela indennitaria.
La Cassazione ha ritenuto, quindi, che il giudice di secondo grado non abbia doverosamente verificato se le condotte contestate al lavoratore potessero configurare o meno una lieve irregolarità nell’adempimento, non soffermandosi anche sulla tutela prevista dal comma 4 dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori.
La medesima Corte ha, inoltre, affermato che il carattere eccezionale della tutela reintegratoria “presuppone una valutazione di proporzionalità della sanzione conservativa al fatto in addebito tipizzato dalla contrattazione collettiva e che si può procedere ad un’interpretazione estensiva delle clausole contrattuali soltanto ove esse appaiano inadeguate per difetto dell’espressione letterale rispetto alla volontà delle parti”.
In conclusione, al giudice è demandato dapprima il compito di stabilire se il licenziamento disciplinare sia illegittimo o meno, e nel caso di licenziamento illegittimo è, altresì, demandato il compito di stabilire quale sia la tutela applicabile, tenendo in considerazione che nel caso di clausole generali, è suo compito riempire di contenuto la clausola medesima, utilizzando standard conformi ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale in modo tale da poterne definire i contorni di maggiore o minore gravità.
Si ritiene, dunque, rilevante l’attività discrezionale del giudice ai fini della tutela applicabile ex art.18 St. Lav., in caso di clausole elastiche in materia di sanzioni conservative.
Morale della storia: in questo caso l’azienda se l’è cavata per il rotto della cuffia. Buona regola è comunque quella di verificare sempre se le clausole del CCNL di categoria in materia di illeciti disciplinari siano sufficientemente specifiche (in omaggio al principio: nullum crimen nulla poena sine lege) e soprattutto di elaborare un codice disciplinare aziendale che adegui le norme del CCNL alla specifica realtà organizzativa. Codice disciplinare da adottare secondo le procedure previste dal contratto collettivo (informativa o consultazione sindacale).