Con la recentissima sentenza allegata, la Corte di Cassazione penale è intervenuta a fornire importanti indicazioni circa la corretta interpretazione dell’art. 603 bis del codice penale, recentemente modificato dalla nota legge 199/2016, cosiddetta legge sul caporalato.
È già significativo che la pronuncia intervenga in una fattispecie che non implica intermediazione né riguarda il settore agricolo: si tratta di lavoratori direttamente assunti da un esercizio di ristorazione; ciò a conferma che la norma sanzionatrice si applica a tutti i datori di lavoro senza alcuna distinzione.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame aveva confermato il decreto con cui il G.I.P. aveva disposto un sequestro preventivo a carico del legale rappresentante e dell’amministratore di fatto di una S.n.c., gravemente indiziati del reato di sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.). Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame proponeva ricorso per cassazione la datrice di lavoro dei dipendenti in danno dei quali era ipotizzato il reato di sfruttamento.
Da quale momento si applica a nuova legge.
Il primo principio che la Corte ha inteso fissare concerne la possibilità di applicare o meno la nuova legge anche ai lavoratori assunti prima della sua entrata in vigore. La difesa dell’imputato, infatti, sosteneva che la fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 603-bis cod. pen. non potesse applicarsi al caso di specie poiché i rapporti di lavoro tra la società e i lavoratori si erano instaurati in epoca antecedente alla riforma del 2016. Al riguardo la Corte, qualificando la fattispecie criminosa de quo come “reato istantaneo con effetti permanenti”, ha sottolineato come esso “si realizza anche attraverso l’impiego o l’utilizzazione della manodopera in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno. La lesione del bene giuridico protetto dalla norma permane finchè perdura la condizione di sfruttamento e approfittamento; pertanto, a far data dal 4 novembre 2016 il datore di lavoro che assuma, impieghi o utilizzi manodopera nella ricorrenza dei presupposti descritti nel comma 1, n. 2) della citata norma, deve rispondere del reato di sfruttamento di manodopera”. Il perfezionamento del reato si realizza, quindi, attraverso l’impiego o l’utilizzazione della manodopera in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno, non rilevando il fatto che l’assunzione dei lavoratori sia avvenuta in data antecedente all’introduzione della norma incriminatrice.
Approfittamento dello stato di bisogno
L’altra questione di ancor maggior rilievo affrontata nella sentenza riguarda, invece, la definizione dell’approffittamento dello stato di bisogno, uno dei requisiti della fattispecie criminosa di cui all’art.603 bis c.p..
La sentenza ha disposto che: “Ai fini dell’integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose”.
Ciò che più rileva è che nel caso di specie i dipendenti della predetta società avevano dovuto prestare la propria attività lavorativa per un numero di ore ben superiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva. Precisamente, i contratti di lavoro de quibus, da contratti a tempo pieno, erano stati modificati in contratti part -time ma, nonostante tale modifica, i dipendenti avevano continuato a lavorare per un numero di ore corrispondente a quelle indicate nel contratto a tempo pieno, percependo una retribuzione palesemente insufficiente in quanto corrispondente al minimo tabellare previsto per i contratti part-time. In tal modo, gli indagati si erano procurati un ingiusto profitto, rappresentato dalle retribuzioni non corrisposte ai lavoratori. La Corte ha ritenuto, dunque, sussistente il requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno, in quanto i lavoratori erano stati costretti ad accettare tali inique condizioni di lavoro, avendo necessità di mantenere un’occupazione e non essendovi per loro – in quel momento – alternative.
Resta fissato dunque il principio secondo cui, il datore di lavoro incorre nel reato di (intermediazione illecita e) sfruttamento del lavoro, ex art. 603 bis c.p. (così come novellato dalla l. 199/2016, cd. legge sul caporalato) quando – approfittando dello stato di bisogno dei propri dipendenti – li assuma con contratto part-time facendoli poi lavorare a tempo pieno senza integrare la retribuzione.
Il principio è particolarmente importante in quanto tale prassi illecita è piuttosto diffusa nel mercato del lavoro; ora però il rischio che corrono questi datori di lavoro è molto elevato, considerando la severità delle pene previste per questo tipo di reato.
Dott.ssa Anna Campione
Studio Legale Associato Stolfa Volpe