Licenziamento del dirigente: principi applicabili

Sentenza Cassazione Sez. lavoro del 02/11/2021 n. 31202

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha confermato la pronuncia della Corte di Appello di Milano n. 667/2018, pubblicata il 29 giugno 2018, a sua volta confermativa di quella di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da A.M. nei confronti di RCS Mediagroup S.p.A., volto a far dichiarare illegittimo, nonchè ingiustificato, ex artt. 21 e 27 del c.c.n.l. per i dirigenti di giornali e quotidiani, il licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 18 novembre 2013 in relazione all’assenza dei necessari e dovuti controlli sui costi sostenuti e sui pagamenti effettuati per l’organizzazione di eventi sportivi da RCS Sport S.p.A., società del Gruppo presso la quale il ricorrente era stato distaccato nel 2008 per svolgervi i compiti di direttore generale, e per la mancanza di verifiche circa l’uso effettivo delle somme prelevate in contanti da una dipendente che gli era gerarchicamente subordinata. Nell’occasione la Suprema Corte fa esplicita e puntiale applicazione di una serie di interessanti principi in materia di licenziameto dei dirigenti, che peraltro sono abbastanza consolidati.

(a) In tema di licenziamento disciplinare, anche con riferimento alla figura dirigenziale, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c..
 

(b) Per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è però necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e se il lavoratore si è adeguatamente difeso in sede di giustificazioni ciò è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione (al riguardo, la Corte richiama, come precedente, Cass. n. 9590/2018).
 

(c) La L. n. 300 del 1970, art. 7 non prevede, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, restando salva la possibilità per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento irrogato all’esito del procedimento suddetto, l’ordine di esibizione della documentazione stessa. Precisa tuttavia la Corte (in parte contraddicendosi) che il datore di lavoro è tenuto, tuttavia, ad offrire in consultazione (non a consegnare) all’incolpato i documenti aziendali solo in quanto e nei limiti in cui l’esame degli stessi sia necessario al fine di una contestazione dell’addebito idonea a permettere alla controparte un’adeguata difesa; aggiunge comunque che, in tale ultima ipotesi, il lavoratore che
lamenti la violazione di tale obbligo ha l’onere di specificare i documenti la cui messa a disposizione sarebbe stata necessaria al predetto fine (sul punto, cita Cass. n. 27093/2018 e n. 23304/2010).
 

(d) Gli obblighi di fedeltà, di correttezza e buona fede cui è tenuto qualsiasi lavoratore subordinato, sono particolarmente accentuati nel caso in cui il dipendente abbia la qualifica di dirigente (in quanto tale qualifica lo pone in un diretto e stretto rapporto di collaborazione con il datore di lavoro, del quale è un alter ego).
 
(e) Nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro e, quindi, costituisca giusta causa di licenziamento, va tenuto presente che è differenziata l’intensità della fiducia richiesta, a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono e che il fatto concreto deve essere valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento (su tale fondamentale aspetto, la sentenza richiama, quali precedenti in termini Cass. n. 17092/2011 e Cass. n. 12263/2005).

Avv. Francesco Stolfa
Studio Legale Associato Stolfa Volpe 

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